Utensili antichi da falegnameria:
una collezione di pezzi dei secoli XVII, XVII, XIX
e dell'inizio del XX.
(Prima Parte)
"La voglia di raccogliere utensili antichi e vecchi impiegati in
falegnameria è nata in me con la passione del lavoro del falegname...
Il lavoro di raccolta e di restauro non finisce mai. Mi capita
spesso di trovare nuovi pezzi sconosciuti; la sistemazione anche
per questo non è mai definitiva, per questo mi appassiona ancora
di più, perché è qualcosa di vivo, che si rinnova sempre, anche
con una sola aggiunta. Perché ho fatto e continuo a fare tutto
questo? Perché amo il mio lavoro e tutto quello che serve a
raccontare la sua storia; perché ho la possibilità di comunicare
ad altri, che vorranno visitare il mio Museo, il piacere che
provo io nel vedere questi oggetti e nel capire quello che rappresentano:
l'ingegno, le fatiche, l'epoca, l'arte e soprattutto l'amore
per uno dei mestieri vecchi come l'uomo".
Con queste parole Tino Sana spiegava le ragioni per quali aveva
fondato il Museo di Almenno San Bartolomeo, inaugurato ufficialmente
il 20 giugno 1987. Noto come il "Museo del falegname", unico
in Italia, ma per dimensione e per alcune peculiarità unico
al mondo, in realtà è una collezione articolata e complessa,
difficile da classificare.
Potrebbe
essere denominato il Museo degli artigiani del legno. Come ogni
collezione rispecchia gli interessi, la cultura, la capacità
in senso lato del collezionista. E' ancora testimonianza soprattutto
di epoche e di luoghi, di usi e di costumi. I quasi quattromila
pezzi della collezione sono in prevalenza dei secoli XVII, XVIII,
XIX e dell'inizio del XX. Provengono soprattutto dalle regioni
del Nord d'Italia. Ogni Museo raconta una storia, quello di
Tino Sana ne racconta diverse. Tutte riconducibili alla Storia
minore, quella che non appare sui grandi libri di Storia e tanto
meno su quelli di Storia dell'arte. Quella mai scritta, ma solo
tramandata dalle testimonianze orali e dalle cose che in diversa
misura hanno partecipato alla sua costruzione e sono sopravvissute
fino a noi.
Quella che, perlomeno negli ultimi decenni, si sta cercando
di scrivere, a fatica, per tramandare, per non dimenticare,
per non disperdere. Ogni oggetto, ogni utensile, ogni macchina
diventa una fonte documentaria assai importante, spesso unica,
dalla quale attingere notizie utili alla definizione di un capitolo,
di un momento, di un procedimento. Anello insostituibile per
collegare un prima e un dopo, per giustificare un assunto, per
costruire la Storia. La Storia della vita comune, della vita
dei campi che si intrecciava con quella delle botteghe artigianali
tramite interrelazioni forti. Indissolubili almeno fino alla
metà del XIX secolo, quando la gente ha incominciato a lasciare
la campagna per la città.
Fino all' alba cioè dell'era industriale, vera e propria, di inizio
secolo. Le storie del Museo di Almenno riguardano naturalmente
e principalmente la lavorazione del legno, la sua trasformazione
per finalità e impieghi diversi, per le diverse attività umane:
quelle domestiche, quelle agricole, quelle artigianali, quelle
culturali, quelle ricreative, quelle sportive, quelle artistiche.
Dal taglio dell'albero fino alla sua trasformazione in arredi,
in utensili, in macchinari, in modelli, in mezzi di trasporto.
Tutto conquistato in tempi lunghi, con energie e applicazioni
e fatiche immaginabili, con migliorie piccole ingegnosamente
conquistate con l'esperienza e con l'osservazione. Con la sperimentazione.
A soddisfare mutamenti assai lenti nel tempo, ponderati, suggeriti
dalla ripetizione interminabile di gesti sempre uguali. Perfezionati
dalla conoscenza dei segreti, delle tecniche di lavorazione,
delle caratteristiche dei diversi materiali, della cultura assimilata
lentamente dall'ambiente. Dipendenti da logiche realizzative
dettate prevalentemente dalla responsabilità dell'individuo,
dall'iniziativa personale, dall'amore e dalla gratificazione,
non solo dalla produttività. Tecniche e utensili e macchinari
a servizio di attività praticate spesso da un solo operatore
o da un solo laboratorio, dove si sedimentavano esperienze,
si custodivano le conquiste ed i segreti gelosamente.
Laboratori
di produzione dove mestiere e arte viaggiavano di pari passo,
dove l'operatore o sapeva far di tutto: progettava, decorava,
intagliava, dorava, intarsiava, o si perfezionava proprio in
una di queste attività mettendosi, come specialista, a servizio,
diretto o indiretto, delle altre botteghe. Botteghe dove nascevano
gli arredi per la casa, quelli d'uso comune o, assai più impegnativi,
per le chiese, per le case ricche, per gli uffici; le botti
e le attrezzature in generale per le attività agricole; i carri
o calessi; le viole e i violini; le stesse macchine per la lavorazione
del legno, le toupies e i torni; le pialle; le cornici intagliate
o intarsiate; i serramenti per il casolare di campagna o per
l'edificio di prestigio; i parquets.
Botteghe dove persone diverse, diversamente specializzate, confluivano
per scambi di opinioni, per consulenze, per realizzare insieme
un progetto, un'opera impegnativa. Visitando il Museo, sono
tante le letture che possono essere fatte, gli aspetti che possono
essere colti.
I
criteri espositivi, condizionati dalla grande mole del materiale
a disposizione, dallo spazio limitato e dalla varietà dei temi,
lasciano ampia libertà di approccio al visitatore. I circa 1500
metri quadrati di superficie espositiva propongono una distribuzione
di tutto il materiale su due piani, raggruppato per temi omogenei:
gli utensili, i macchinari, i prodotti finiti, gli strumenti,
o impaginato, entro semplici quinte mobili in vere e proprie
botteghe artigiane.
Piano Primo.
A pavimento sono distribuite diverse macchine in legno di inizio
secolo, realizzate dalle diverse falegnamerie per uso proprio.
Sono la piallatrice, la sega circolare, la toupie, impiegate
per le prime lavorazioni, quelle più semplici. Lungo le pareti
e al centro della sala fanno orgogliosamente mostra diversi
esemplari di TORNI, sempre in legno, alcuni dei quali di notevole
pregio ed assai rari. Uno "primitivo" della famiglia Pelaratti
della Valle Imagna, detto "tornio a gamba" per il sistema a
leva orizzontale con cui imprime il movimento rotatorio al pezzo
in lavorazione. Ben conservato è dotato anche di tutte le attrezzature
impiegate per la tornitura, appese, come era consuetudine, sulla
parete alle spalle dell'operatore. Ancora un "tornio a corda"
del XIX secolo, con movimento a pedale e grossa ruota-volano.
A
snodo con collo d'oca e funzionamento a pedale un bellissimo
esemplare del XVII secolo. Un altro, del XIX secolo, a doppio
snodo con collo d'oca. L'avvento della meccanizzazione è testimoniato
da un albero a trasmissione, posto a parete e capace di azionare
in contemporanea diversi torni. Le botteghe allestite su questo
piano sono due: quella del falegname e quella dell'intagliatore.
La bottega del FALEGNAME è composta, oltre che dal tipico tavolo
da lavoro, dai cavalletti, dai martelli, dalle lime e raspe,
dal girabacchino, dai pialloni e dalle seghe, dagli attrezzi
più comuni.
In un angolo la tipica molatrice a pedale, perlopiù impiegata
dagli arrotini che svolgevano la loro attività in botteghe vere
e proprie di città o spostandosi di villaggio in villaggio.
Alle pareti gli scaffaletti con i barattoli delle vernici e
delle polveri all'anilina, l'immancabile quadretto di S. Giuseppe,
protettore dei falegnami.
L'altra
bottega, dell'INTAGLIATORE, è realizzata con materiale tutto
appartenuto a Enrico Manzoni, detto "risulì", uno dei più illustri
intagliatori-doratori bergamaschi di inizio secolo, autore di
assai apprezzate teste di burattini. Sono esposti con le sgorbie
e gli scalpelli, con le cesoie e i bedani, alcuni disegni al
vero di cornici e decori.
Appesi alle pareti lungo il corridoio, in duplice fila, sono
gli utensili per il taglio e il trasporto manuale dei tronchi,
per la piallatura, per la tracciatura. Innumerevoli i compassi
e le pialle dei secoli XIX e XX, alcuni dei secoli precedenti.
Ordinati in bacheche sono i tanti pregiati e curiosi attrezzi
di ogni foggia: le pialle, i graffietti, le squadre, i martelli,
le pinze stradatrici.
Piano
Interrato.
All'ingresso è allestita una piccola vecchia OSTERIA, con il
banco per la mescita, le mensole con le caraffe bianche e decori
azzurri, le "misure piombate", una fisarmonica in legno intarsiato
e madreperla. Curiose le due progenitrici delle macchine per
il caffé espresso, in ottone e rame. Nello spazio attiguo è
sistemato l'arredo tipico di una "CASA DEL CONTADINO" con il
tavolo imbandito, con le piattiere e le pentoliere alle pareti,
ben fornite di suppellettili, con il girello e l'armadio.
Assai rustica e tutta bergamasca la camera da letto matrimoniale
con il letto e la culla ed i comodini e il lavamani e l'inginocchiatoio
e il cassettone e l'immancabile effige sacra alla parete. Il
primo grande spazio espositivo è riservato agli attrezzi ed
ai macchinari del contadino impiegati nei campi o in casa, per
i lavori agricoli o domestici o per la trasformazione dei prodotti.
Alle
pareti una raccolta consistente di zappe, di tagliafieno, di
rastrelli, di ventilabri, di gioghi, di porta secchi, di accette,
di stadere e bilance, di attrezzi vari per la lavorazione del
latte. A pavimento aratri e sarchiatrici, sgranatrici, zangole,
misure in legno e ferro per cereali, attrezzature varie. Un'intera
parete è occupata dai curiosi molinelli ed arcolai, attrezzi
vari per la cardatura e filatura della lana. Singolare il piccolo
telaio per la tessitura.
Il secondo spazio è occupato tutto da vere e proprie botteghe
artigianali, alcune definite con arredi e attrezzi di diversa
provenienza, altre appartenute interamente ad un artigiano ed
integralmente esposte.
Testi di CESARE ROTA NODARI - fine Prima Parte.
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MUSEO DEL
FALEGNAME
Via Papa Giovanni, 59 24030 Almenno S. Bartolomeo (Bergamo)
tel. 035 / 549198 |
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